Storie di 100 anni di Gran Premio d’Italia. Il più oscuro dei vincitori.
Articolo pubblicato il 20-05-2021
1928. Louis Charavel-“Sabipa” al Gran Premio di Francia (ACF) su Bugatti. (gallica)
L’Albo d’Oro del Gran Premio d’Italia comprende nomi di vincitori illustri probabilmente più di ogni altro Gran Premio classico, cioè originato prima della II guerra mondiale. Per non farla troppo lunga, andando a ritroso tra il 1965 e il 1931 tra i vincitori troviamo esclusivamente solo assi conclamati e campioni del mondo: Stewart, Clark, Phil e Graham Hill, Moss, Brooks, Fangio, Alberto Ascari, Farina, Wimille, Trossi, Nuvolari, Caracciola, Rosemeyer, Stuck, Fagioli e Campari. Nella prima serie, dal 1921 al 1928, sono annoverati tra i vincitori gli assi francesi Goux, Benoist e il monegasco Chiron, due tra i più grandi piloti italiani di sempre: Bordino e Antonio Ascari, il veloce e tenace Brilli-Peri e l’epitome del collaudatore Fiat, Carlo Salamano. Contandoli, ne manca però uno. L’edizione del 1926 fu infatti vinta da un pilota francese che correva sotto il nome di “Sabipa”, che si chiamava in realtà Louis Charavel. L’ottimo database di Motor Sport, gli dà l’attributo di “Il più oscuro vincitore di un Grand Prix“, in generale. Si può essere senz’altro d’accordo (naturalmente se per Grand Prix si intende uno di quelli classici), anche perché non vi sono notizie su di lui nelle fonti abituali. Trovarne è stata quindi una ricerca molto divertente. Ci è venuta in soccorso la puntigliosa burocrazia francese cha da anni digitalizza moltissimi documenti anagrafici, certificati, attestati di onorificenze, etc. Sappiamo così che Louis Charavel nacque il 31/08/1890 a Saint-Germain du Puch, nel Dipartimento della Gironda, oggi molto prossimo alla periferia di Bordeaux. Il primo mistero riguarda gli anni della Grande Guerra: l’impressionante elenco digitalizzato del ruolino militare di milioni di cittadini chiamati sotto le armi nella coscrizione obbligatoria non comprende il nome di un Louis Charavel. Era così difficile sfuggirvi, che sarebbe interessante saperne la ragione, anche perché Charavel mostrerà sempre di essere un giovanotto sanissimo. Il documento successivo al certificato di nascita che abbiamo reperito è riportato da Norman Steinhauser nel suo monumentale lavoro sulle prime Bugatti. Il 27 settembre 1920, Charavel acquistò una Bugatti 16 valvole del raro tipo 19 (telaio 924, motore 520) e il 2 giugno 1921 una seconda, del tipo 23 (telaio 1068, motore 742). Il debutto del pilota e della sua prima Bugatti avvenne al meeting di Boulogne-sur-Mer (22 settembre); Charavel vinse la classe da 1400 a 1800cc Turismo nella corsa sprint di 500 metri in salita.
Il 10 ottobre successivo, alla corsa del Gaillon, un chilometro lanciato in salita, Charavel finì terzo. Negli anni successivi, dal 1921 al 1924, c’è traccia di alcune iscrizioni a corse, seguite da una mancata partecipazione, con l’esclusione dell’importante Grand Prix des Cyclecars del 17 settembre 1921, in cui Charavel si piazzò 4° assoluto come pilota ufficiale di un’effimera marca, la Weler, e in cui per la prima volta si presentava con lo pseudonimo di “Jean Sabipa”. Charavel rispolverò la Bugatti T23 nel 1925 e si recò a San Sebastian, nel Paese Basco, non molto lontano dal suo villaggio natale, per correre il Gran Premio per Vetture Turismo, una delle più importanti gare di durata della stagione Europea.
Egli arrivò il giorno della gara e fu pronto appena due minuti prima del via come raccontato dalla stampa locale, raccolta nell’ottima Biblioteca di San Sebastian, un’impresa che lo rese immediatamente popolarissimo. Più avanti nella stagione, al meeting di Dieppe, ottenne tre vittorie di classe in gare sprint. Arriviamo quindi al fatidico 1926; un altro mistero è come Ettore Bugatti, o il suo direttore sportivo Meo Costantini, arrivarono alla decisione di affidare all’inesperto Charavel una 8 cilindri Bugatti T39A ufficiale per il Gran Premio d’Italia del 5 settembre. La squadra Bugatti si presentava con tre T39A, con Jules Goux, Meo Costantini e “Jean Sabipa” alla guida. Goux si ritirò presto, e Costantini, alla sua ultima corsa e che teneva moltissimo a vincere di fronte al suo pubblico, prese largamente la testa. Dopo 50 dei sessanta giri, il suo vantaggio su Charavel era largo. Ma problemi di accensione lo fermarono a due giri dalla fine. E così Charavel, che va detto che non era andato assolutamente piano, entrò nel Libro d’Oro del Gran Premio d’Italia.
Un articolo di presentazione di Charavel sul quotidiano francese l’Auto del successivo 11 settembre, lo descrive come “gentleman, industriale, che adora il volante“, ma è singolarmente privo di informazioni personali. Per tutta risposta Charavel inviò una lettera piuttosto seccata al direttore, ribadendo che il suo nome di corridore è “Jean Sabipa”, poiché “essendo in affari, preferisco correre sotto altro nome“. Più avanti apprenderemo che Charavel è un “ingegneur distingué“, ma che tipo di ingegnere non sappiamo.
La Bugatti gli consegnò una nuova 4 cilindri T37A e lo iscrisse alla Targa Florio del 1927. La sua gara finì in un frutteto sottostante la strada, per fortuna atterrando sulle quattro ruote. Charavel si riscattò alla Coppa Florio dove stabilì il miglior tempo, ma, essendo questa una gara ad handicap, fu vinta da una vettura sport. Il 10 settembre a Boulogne, condusse a lungo la corsa, ma venne superato da Malcolm Campbell, alla guida di una più potente 8 cilindri Bugatti. Di nuovo a San Sebastian, Charavel arrivò per la gara riservata alle vetture sport a bordo della sua Bugatti con una signora e un cane bassotto, ma si dovette ritirare.
Gli strani fatti connessi colla sua carriera di pilota ripresero nel 1928. L’importatore francese della moribonda Itala, nel tentavo di rilanciare il modello 65, formò una squadra con Charavel e Charier e Benoist-Dauvergne per la 24 ore di Le Mans. Viene riportato un fatto probabilmente unico: Charavel e Charier si ritirarono dopo una cinquantina di giri, poi ripresero la macchina al parco chiuso e rientrarono a Parigi per strada senza che alcuna riparazione fosse stata apportata.
Un altro bruttissimo incidente lo tolse di gara alla sua terza apparizione a San Sebastian, consigliandolo di prendere un anno sabbatico per la successiva stagione 1929 (Charavel sembra aver avuto una predilezione per le località balneari dell’Atlantico, Dieppe, Boulogne, San Sebastian su cui si svolse la maggior parte della sua ridotta attività sportiva). Riapparve nel 1930 al volante di una Grand Prix Bugatti tipo 35C 8 cilindri. Terminò buon quarto al circuito di Dieppe, ma ebbe un terzo grave incidente al Gran Premio di Francia. Sembrava che la sua carriera sportiva dovesse essere giunta al termine quando un equipaggio formato da “Jean Sabipa”- “Odette Siko” si presentò alla partenza delle 24 ore di Le Mans del 1932. “Siko” si chiamava Odette Séguin, poi sposata Coville e probabilmente divorziata (Parigi 14/07/1899-Périgueux, 31/08/1984) e apparteneva ad un gruppo di piloti donne francesi, assai attive dalla seconda metà degli anni ’20 alla guerra. Possedeva una Alfa Romeo 6C-1750 con compressore con cui si era iscritta a Le Mans con Charavel. I commenti maliziosi sulla stampa si sprecarono, ma il risultato sportivo fu magnifico. “Sapiba”-“Siko” si piazzarono quarti assoluti dietro a due Alfa 8C-2300 e una Talbot, e primi della classe 2000. Il risultato di “Siko” è a tutt’oggi, dopo 90 anni, il migliore ottenuto da un pilota donna alle 24 ore di Le Mans. I due ritornarono l’anno successivo con la stessa macchina. “Siko” uscì di strada ad Arnage e la bella Alfa si accartocciò attorno ad un albero, dopo 15 ore di corsa. Fu veramente la fine per la carriera automobilistica di Charavel, a proposito del quale non sappiamo più nulla fino al 1959 quando assunse la nazionalità del Principato di Monaco. Un’ulteriore indicazione che Louis Charavel non se la passava certamente male è che morì nell’elegante sobborgo parigino di Neuilly-sur-Seine l’11/9/1980. (AS)
Nota. L’origine dello pseudonimo “Jean Sapiba” è raccontata variamente. L’ipotesi più probabile è che in occasione di una delle prime corse alla domanda di come volesse essere chiamato, rispondesse “Je ne sais pas“, nello strascicato accento del Sud che l’ufficiale di gara trascrisse come “Jean Sabipa” (non come riportato nella maggioranza dei casi, cioè che la risposta fosse stata data in dialetto provenzale, che non ha niente a che fare con Bordeaux).
Crediti fotografici.
gallica: Bibliothèque Nationale de France, Bibliothèque digitale
Kutxateka: Kutxa Fundaziao
AS: Collezione Alessandro Silva