Articolo pubblicato il 03-11-2022
Mauro Forghieri (13/01/1935-2/11/2022)
Il nostro Socio Pino Allievi ha scritto questo ricordo di Mauro Forghieri.
E’ solo quando qualcuno scompare che si compone il riassunto delle sue opere e del segno che lascia. Nel caso di Mauro Forghieri ci vorrebbe una libreria intera per descrivere quello che ha dato all’automobilismo. Ma sarebbe limitativo, perché la sua grandezza consiste proprio in ciò che ha fatto oltre, a livello di rapporti umani. Eravamo a pranzo due sabati fa da Lello Apicella a Maranello, una riunione voluta da un caro amico di Forghieri, Gaetano Passarelli. Un revival che si celebrava quasi tutti gli anni tra persone che a Mauro erano state molto vicine sempre. E, appunto, tra queste c’erano i meccanici che avevano fatto parte dei momenti d’oro (e anche no) dell’ingegnere in Ferrari. Una meravigliosa comunione di vite, di sentimenti, di magnetismi nella quale, per pura casualità, si era inserito all’improvviso Enzo Ferrari Mattioli, pronipote di Enzo Ferrari, che aveva avuto un veloce scambio di parole gentili con Forghieri. Mauro, tornato a tavola, aveva subito evocato come quella di Enzino fosse la terza generazione di Ferrari che attraversava la sua esistenza, in un intreccio di famiglie cominciato con suo papà Reclus, che il celebre costruttore aveva prelevato dall’Alfa Corse per farlo partecipe dell’avventura motoristica che sarebbe cominciata nel 1940 per proseguire subito dopo la guerra, nel 1947, con le insegne del cavallino rampante.
<<Nessuno conosceva la vera storia di Enzo Ferrari come mio padre>>, aveva commentato. Mauro era approdato a Maranello, fresco di laurea, nel 1959, ed era stato proprio Ferrari a proporre a Reclus un posto di lavoro per il figlio, ingegnere meccanico svelto, sveglio e capace, come era emerso negli stage estivi che aveva fatto in fabbrica da studente. Poteva essere uno dei tanti tecnici, invece Enzo Ferrari, che sapeva più di ogni altro intuire le potenzialità dei suoi dipendenti, due anni dopo lo volle alla direzione tecnica delle corse, nel momento in cui un gruppo di dirigenti di spessore aveva dato in blocco le dimissioni per screzi con la moglie Laura.
La grande avventura di Forghieri in Ferrari cominciò di lì e grazie ad un rapporto strettissimo, quasi filiale, tra padrone e dipendente sono arrivati a valanga successi e titoli mondiali: dodici, questi ultimi, ottenuti con vetture di qualunque tipo, a ruote coperte e scoperte. Tanto che oggi quello di Forghieri è il primo nome che viene in mente non appena si cita la Ferrari. Un patrimonio immenso di cultura motoristica sia in campo motoristico che telaistico ed aerodinamico. Senza dimenticare ciò che ha fatto <<dopo>>, cominciando dalla Ferrari a quattro ruote motrici per andare alla vettura elettrica – di cui nessuno parla – che realizzò per l’Enel e che anticipò quella dei colossi automobilistici, spaziando persino nelle due ruote, quando collaborò con la Oral insieme con l’ingegner Antoniazzi che arrivava dalle esperienze Alfa Romeo in F.1.
Serio, meticoloso, maniaco sul lavoro e poi divertente, mentalmente libero, quando si occupava d’altro. Dotato di sensibilità nelle cose della vita, colto e documentato su tutto, tanto che, come raccontava l’amico Gaetano Passerelli, <<quando andavi con lui a visitare un museo, lui nel viaggio ti aveva già descritto nel dettaglio le opere d’arte che avresti visto>>. Non era in imbarazzo con nessuno, trattava tutti allo stesso modo, con classe e cordialità. E, a differenza dei tecnici di oggi, quando c’erano i gran premi era quasi sempre a tavola con gli adorati meccanici. Esagerato nel suo attivismo, al punto che una volta a Zandvoort, quando Villeneuve ruppe il motore a poche ore dalle prove ufficiale, lui stesso diede una mano ai suoi uomini per sollevare la macchina e poi cominciò ad armeggiare con le chiavi inglesi per fare più in fretta. Ovvio che fosse adorato. Di più: venerato.
Con Enzo Ferrari il rapporto è sempre stato ottimo, ma con puntuali diverbi: <<Lui alzava la voce, io la alzavo ancora di più>>, raccontava Mauro sorridendo. Quando vennero momenti difficili e la Fiat tentò di allontanarlo dalle corse, Ferrari lo protesse creandogli un apposito reparto di sperimentazione, in azienda. E poi lo richiamò alla sua funzione elettiva, passata la buriana. In realtà, Ferrari e Forghieri erano l’uno la copia dell’altro, quando si parlava di corse: destinati a convergere immancabilmente, col solo obbiettivo di battere gli avversari. Dalla Porsche alla Ford, dalla Lotus alla McLaren, alla Williams. E se negli ultimi tempi i soldi circolavano, negli anni ’60 e ’70 la Ferrari competeva ovunque (F.1, Prototipi, F.2, Montagna Tasmania, Temporada Argentina) con pochissimi uomini e con un budget risicato. Era la mente di Forghieri, insieme con quella dei tanti validi collaboratori che ha avuto, a fare la differenza. Proprio l’altra settimana, a tavola, un suo meccanico raccontò di essere passato dalla 12 Ore di Sebring a una gara in Tasmania (!) rientrando in Europa cinque giorni dopo per un gran premio di F.1: <<Una vita impossibile, ma come potevi dire di no a Forghieri?>>.
I piloti, alla fine, l’hanno quasi tutti amato, anche se Niki Lauda gli rimproverava di nascondere al <<grande capo>> la verità sulle defaillances tecniche delle vetture. Ma lo stesso Niki raccontava pure che quando al Fuij abbandonò la corsa sotto il diluvio perché aveva avuto paura, Forghieri fu il primo a mettersi dalla sua parte proponendogli di dire alla stampa che si era fermato per un guasto, cosa che Lauda altrettanto onestamente rifiutò. Un mistero intricato la sua relazione con Surtees, felicissimi i rapporti con Scheckter, Villeneuve, Tambay, Alboreto e tanti altri. Un personaggio carismatico, anche se non sempre facile, che sapeva trascinare la squadra nel rispetto delle gerarchie. Non era tipo da sorpassi tra le scrivanie e questo lo ha pagato. Ma se non fosse stato così – grande e spesso disarmato nelle sue debolezze – non sarebbe stato Mauro Forghieri.